Qui di seguito il testo scritto da Vittore Querèl a presentazione di una cartella di 4 serigrafie, stampate da Turchetto a Portogruaro, nel 1975, e riportate alla fine del testo stesso. Né la cartella né le serigrafie hanno un titolo, anche se queste configurazioni lineari potrebbero essere considerate prodromi della serie la corda pazza.
Alberto Argenton
Non so di preciso da quali ispirazioni parta questa sinfonia di segni, di tracce, di armonie cinetiche, di ellittici agglomerati che anima i fondi tonali delle opere di Argenton.
Forse mi sarebbe facile — ponendo attenzione alla sua professione di psicologo — scoprire l’origine delle matematiche indicazioni, dei logaritmici segnali che appaiono nelle sue opere: come un colloquio con l’infinito o con un mondo che esce dal normale, magari è extraterrestre o corporeo a carattere intimistico.
Non so (né mi tormenta il saperlo o non saperlo) da quali meditazioni a lungo covate nel segreto del suo cervello o da quali improvvise illuminazioni nascano le simboliche euritmie e gli aggrovigliati complessi che appaiono nelle carte di Argenton.
Non mi turbo la mente alla ricerca di spiegazioni, salvo in qualche momento in cui anche il mio cervello vorrebbe e pretenderebbe di ripercorrere la strada d’un altro cervello — quello dell’Artista — nel tentativo (voluto o no) di portare avanti un discorso con l’infinito o, magari, con l’indefinito d’una natura che potrei anche chiamare universale.
E così potrei andare avanti — se la cosa mi divertisse — nel giocare di parole e di ipotesi su questa emblematica grafia che orna i fogli così ben stampati.
Ma a che vale il gioco delle spiegazioni o delle intuizioni? Hanno valore le indagini o ne ha più l’accettare questa incontaminata purezza di linee, questo inseguirsi, magari accavallarsi di diagrammi e di serpentine, questo colloquio che hanno tra loro – magari inavvertitamente – i segni che la mano dell’Artista ha tracciato con maniera sicura, precisa?
Ho già detto che mi sarebbe facile scoprire nella professione normale di Argenton i motivi esplosivi di questo tipo d’arte. E anche individuare, sulla scorta di precedenti esperienze dell’Artista (mi riferisco qui alle sue ormai famose “nasse”), il “groviglio di vipere” – avrebbe detto Maurois – in cui si dibatte e da cui cerca di emergere la sua non superficiale coscienza.
Ma, rifuggendo io dall’accettare le scuole e le tendenze, la tipologia e magari anche l’ideologia in fatto di cose d’arte, rimanendo fermo — cocciutamente fissato e ancorato — al concetto dell’esistenza di un’arte universale, tanto vale che rifiuti la semplicistica spiegazione del perché Argenton tracci le sue linee in un modo piuttosto che in un altro.
Dico solo che a me piace questo suo segno, piacciono i colori in cui avvolge la sua grafia, piace l’avvertito tormento che illumina, con percezioni di fondo, la sua opera.
Novembre 1975 Vittore Querèl