Nel 2021, in occasione del settecentenario della morte di Dante Alighieri, i membri triestini di GTA (Society for Gestalt Theory and its Applications) hanno proposto, in modalità telematica e con cadenza mensile, delle “escursioni” sulla “questione della lingua” nei suoi diversi risvolti: linguistici, psicologici, filosofici e storico-culturali.
La decima escursione è stata guidata da Laura Messina Argenton, Studiosa senior dell’Università di Padova, sul tema: “Il verseggiar di Dante e il suo ‘significato percettivo’ (nei termini di Alberto Argenton)”.
La registrazione è disponibile all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=hDLtewLfxgM
Qui di seguito, l’abstract: Francesco De Sanctis suggeriva ai suoi studenti, se volevano “gustar” Dante: “leggetelo senza commenti, senz’altra compagnia che di lui solo, e non vi caglia di altri sensi che del letterale. State alle vostre impressioni, e soprattutto alle prime, che sono le migliori. Più tardi ve le spiegherete, educherete il vostro gusto…”. Se fosse stato uno psicologo dell’arte (di matrice gestaltista e arnheimiana), forse De Sanctis avrebbe inteso “letterale” specie nella sua accezione fonomorfologica e avrebbe fatto riferimento al “significato percettivo” dei versi danteschi. E forse ciò avrebbe trovato concorde Dante stesso. Il mio contributo riprende dagli studi di Alberto Argenton la distinzione da lui fatta tra “significato percettivo” e “significato rappresentativo”, in riferimento alle arti visive, accennando alle sue argomentazioni sulla primarietà del “significato percettivo” nella fruizione dell’opera artistica e proponendo interrogativamente, ma con un qualche conforto offerto da Dante, che tale significato possa avere simile rilevanza, pur con le diversità tra i media, nella fruizione del suo verseggiare.