"assolo", 1983, acquarello, cm. 53,5 x 53,5

“assolo”, 1983, acquarello, cm. 53,5 x 53,5

Come nasce, e come realizzo, una mia opera, le mie opere, le mie immagini?

In termini psicologici – abilità e facoltà implicate – e in senso procedurale – fasi, tecniche, metodi –, in modo non diverso da quello che accade a chiunque, mediante un processo creativo, inventi e porti ad attuazione qualche cosa che abbia caratteristiche di uso e di funzione: una cancellata in ferro battuto, una formula per il calcolo statistico, un piatto gastronomico, un rompicapo, una metafora, un’opera artistica.

Quel particolare modo di manifestarsi dell’intelligenza, che denominiamo creatività e che trova nel mondo dell’arte e della scienza le sue più complesse e ricche espressioni, è, infatti, presente in forma per-vasiva in tutte le attività dell’uomo in cui egli, usando le proprie risorse cognitive (ciò che conosce, che ha appreso), tramite strategie (processi percettivo-rappresentativi) e forme (sistemi simbolici) della conoscenza, concepisce e realizza qualche cosa di nuovo, di insolito, di sorprendente e che desta meraviglia, interesse, apprezzamento, piacere, emozione.

Fondamentalmente, ciò che accomuna i diversi prodotti dell’attività creativa è il fatto che essi sono il risultato di uno sforzo psico-fisico, provocano stati di autosoddisfacimento, sono percepibili. Ciò che distingue i diversi prodotti dell’attività creativa è il fatto che motivazioni a realizzarli, materiali e strumenti per realizzarli e funzioni per cui vengono realizzati ‘ac-cadono’ all’interno di un certo settore del comportamento piuttosto che di un altro.

Fermo restando che, anche se non c’è invenzione, tutti questi elementi caratterizzano, in grado più o meno intenso, qualsiasi tipo di attività umana, sia essa preparare un uovo al tegamino che scrivere un articolo su di un determinato argomento, così come sto facendo io ora. Ambedue queste attività, infatti, presuppongono delle fasi, delle tecniche, dei metodi e implicano delle abilità e delle facoltà per essere svolte; richiedono l’uso di risorse, di strategie e di forme della conoscenza per essere portate a termine; provocano soddisfacimento una volta ottenuto, attraverso uno sforzo psico-fisico, un risultato percepito come adeguato allo scopo per cui è stato perseguito; sono realizzate sulla base di motivazioni, con materiali e strumenti e per funzioni relative a un particolare settore del comportamento, in questo caso, cucinare e scrivere un articolo.

Ciò che caratterizza la mia ‘opera-azione’ – la mia creazione di immagini — è, dunque, il fatto che le motivazioni a compierla, i materiali e gli strumenti usati per realizzarla, le funzioni per cui è da me svolta ‘ac-cadono’ all’interno del comportamento artistico, del mondo dell’arte: io presumo, immagino, desidero che essa sia il risultato di un’attività creativa, esercitata nel campo grafico-pittorico, con intenti ‘autoremunerativi’ ed ‘estetici’; vale a dire di procurare piacere a me stesso e, eventualmente, agli altri.

Con l’illusione di essermi in parte liberato, con questa premessa, dalle maglie della equivocità dei termini e dei concetti, posso ora con meno disagio affrontare l’argomento di questo scritto.

 

La mia opera nasce da ciò che sono, da ciò che ho conosciuto e conosco, dal mio rapporto con il mondo, dalla elaborazione delle stimolazioni che mi sono giunte e mi giungono dall’ambiente in cui mi sono trovato e mi trovo a vivere. È il risultato del mio stile cognitivo: il mio peculiare (geneticamente ed educativamente determinato) modo di elaborare le informazioni – gli stimoli che mi provengono dall’esterno e dall’interno – tramite le facoltà della percezione, della memoria, della concettualizzazione, del linguaggio, del ragionamento.

A un certo punto della mia esistenza, molto precocemente devo dire, ho sentito una forte esigenza di tradurre il frutto di alcune di queste elaborazioni sotto forma di rappresentazioni grafico-pittoriche. E me ne è stata data l’occasione: ho potuto iniziare a esercitare alacremente la mia abilità e, quindi, a sviluppare e organizzare la mia conoscenza in questa forma di linguaggio, cercando di impadronirmi delle sue tecniche. È cominciata così la mia attività creativa, o meglio, la mia ricerca pittorica.

L’attività elaborativa ed esecutiva a cui mi riferisco è molto simile a quella che caratterizza la soluzione di un problema o la verifica di un’ipotesi.

"studi", 1989, matita e pastello, cm. 29.5 x 21

“studi”, 1989, matita e pastello, cm. 29.5 x 21

Il mio problema è quello di rappresentare (tramite segni, colore, forme, …) l’idea, il concetto, l’emozione, l’evento, l’oggetto (che il mio ambiente interno ed esterno, in un dato momento, mi suggeriscono) nella configurazione più buona; vale a dire, nella configurazione più corrispondente possibile alla rappresentazione mentale, all’immagine mentale, che di quella idea, di quel concetto, di quell’emozione, di quell’evento, di quell’oggetto mi sorge, a un certo punto, in testa – e che appena posso schizzo sul foglio di carta – o che mi spunta sul foglio bianco fra i tanti sui quali vado tracciando segni del mio alfabeto iconico.

È il momento – perché no? – dell’ispirazione, precisando subito che intendo tale termine non nel senso di “impulso riconducibile a fattori singolari o privilegiati, per lo più fortuiti e irrazionali, diretti […] verso una creazione estetica” ma in quello etimologico del risultato dell’azione di “soffiare dentro e sopra”, dell’azione di far emergere, nella sua forma finalmente percepibile ed embrionale, il nucleo essenziale dell’opera: la rappresentazione, non più mentale, ma concreta, dell’idea, del concetto, dell’emozione, dell’evento, dell’oggetto che me l’hanno suggerita e che d’ora in avanti chiamerò solo tema.

Questa prima configurazione è il frutto del mio ‘ragionamento percettivo’, di un lavoro mentale consistente nel mettere in relazione, nel combinare dati sensoriali quali la dimensione, il movimento, la forma, il colore; ragionamento basato sull’elaborazione degli stimoli che mi sono giunti, di cui ho ricevuto l’energia, che hanno attivato la mia percezione, risvegliato l’attenzione e la memoria, procurato sensazioni, immagini, visioni, idee, concetti, pensieri,

Questo iniziale momento è seguito da alcuni passaggi intermedi prima di arrivare all’esecuzione vera e propria dell’opera: una sorta di approfondimento, uno studio, di tipo grafico, della rappresentazione, chiamiamola, originaria sia in termini di riproduzione ripetitiva della sua configurazione – e, come vedremo, questo genere di operazione ha un suo senso rispetto all’opera finale – sia in termini di variazioni di quella configurazione – e ciò, spesso, produce altre rappresentazioni, altre ipotetiche opere – sia in termini cromatici, di combinazioni e di variazioni dei campi colorati. Questo lavorio (che si concretizza negli “studi”, tramite l’uso di ogni genere di matite, pennarelli, penne, ma anche dell’acquarello) mi consente un continuo raffronto dinamico fra la rappresentazione del tema e, a questo punto, le molte rappresentazioni realizzate e mi conduce a una sufficiente chiarezza della sua rappresentazione mentale.

"piccoli studi", 1989, matita e pennarello, cm. 15 x 21

“piccoli studi”, 1989, matita e pennarello, cm. 15 x 21

Sono allora pronto alla fase seguente, una fase cruciale del mio ragionare e del mio agire percettivo-rappresentativo. Scelto il formato e il tipo di superficie su cui dipingere e, spesso, nel caso delle pitture a olio, il colore a tempera di fondo con cui tratto la tela, e messi da parte e tolti dalla vista gli studi fatti, mi accingo di nuovo a soffiare dentro e sopra la carta o la tela, trasferendovi con i miei segni, le mie linee, l’intelaiatura della mia rappresentazione mentale.

È un’azione a cui io dedico la massima concentrazione. Sono vicino alla soluzione del problema la quale dipende da questa azione che io eseguo, solitamente, in modo molto rapido e che non deve e non può – la tecnica che io uso consente poco ripensamenti e correzioni – contenere ‘errori’. La rappresentazione mentale del tema, tramite la mente, il corpo e un suo amplificatore – lo strumento con cui traccio i segni – , inizia a oggettivarsi, a trovare apparenza, manifestazione, espressione.

Può iniziare allora l’esecuzione dell’opera con la stesura dei colori sulle zone create dall’intrecciarsi delle linee. Nel caso dell’acquarello, un’unica stesura, preceduta da una serie di prove di colore; nel caso dell’olio, una prima stesura a tempera grassa che anticipa la tinta definitiva la quale verrà data con il colore a olio, anch’esso provato, su strisce di tela e su piccoli “studi”, fino al conseguimento della tonalità, densità, brillantezza, … pensate.

Fig. 1: "strambotto", 1980, acquarello, cm. 11.5 x 23

Fig. 1: “strambotto”, 1980, acquarello, cm. 11.5 x 23

I principi che muovono il mio ragionamento percettivo-rappresentativo si rifanno ad alcuni concetti cardine quali semplicità, morbidezza, energia, forza, discrezione, fluenza, provocazione, equilibrio, limite, trasgressione, chiarezza, pulizia, asimmetria, … Oltre alle configurazioni di linee intrecciate, al loro andare sinuoso e fluente, che, quasi sempre, giunge al margine della tela, è anche alle tinte, ai colori e ai loro accostamenti, al modo di essere stesi uniformemente, con sfumature leggerissime, cercando di renderli vibranti ma non brillanti, intensi ma non pesanti, a volte provocanti ma non sfacciati che è affidata la compiutezza dell’opera, la cui esecuzione è guidata, accompagnata da quei concetti.

Questa ultima fase è caratterizzata dall’alternanza di momenti di attività e di riflessione. I primi, in cui la concentrazione nella manipolazione e nell’uso dei materiali e degli strumenti è percorsa dalle piacevoli sensazioni cinestesiche, tattili, olfattive, visive che quelli mi procurano. I secondi, in cui la concentrazione nella valutazione delle scelte e del lavoro compiuti fino a quel momento è accompagnata da stati di entusiasmo o scoramento, di apprensione o sicurezza, di compiacimento o insoddisfazione.

A un certo punto l’opera è terminata ed è per me come quando, dopo aver inciso una lastra di rame con la tecnica dell’acquaforte-acquatinta a diversi tempi di morsura, ‘tiro’ con un torchio la “prova” e, finalmente e con molta trepidazione, scopro se il lavoro ha dato il risultato immaginato, con molto piacere se stabilisco che così è.

Le opere riprodotte in queste pagine, con alcuni esempi di schizzi, studi, bozzetti che le hanno precedute, appartengono a un gruppo di lavori, eseguiti negli ultimi tre anni, intitolati genericamente “racconti” e, nel senso di componimenti lirici, “canzoni”, a indicare il desiderio di ‘raccontare’ e di ‘suonare’ pezzi della mia esperienza del mondo.

Fig. 2: "racconto", 1988, olio su tela, cm. 60 x 70

Fig. 2: “racconto”, 1988, olio su tela, cm. 60 x 70

È mia consuetudine dare titolazioni ampie e generiche (“La corda pazza”, “Storie di vita”, “La ragione imperfetta”, “Structurae” ecc.) a quell’insieme di quadri che fanno parte di un medesimo filone; che rappresentano, cioè, temi, e variazioni di quei temi, trattati con lo stesso ‘spirito narrativo’, raffigurati seguendo concetti rappresentativi generati da simili o medesimi stimoli e referenti.

Spesso il titolo ampio ha un’ulteriore specificazione. Il “racconto” si connota attraverso il nome di un luogo, il titolo di un brano musicale, il verso di una poesia, un aforisma; la “canzone” diventa “amorosa” oppure si trasforma in danza: “strambotto”, “copula”, “madrigale”, “flamenco”, ecc.; e così via, a indicare, laddove credo di averlo rintracciato, l’idea, il concetto, l’emozione, l’evento, l’oggetto che può avermi sollecitato nella creazione di quell’opera o che mi ha accompagnato nella sua realizzazione.

Le immagini, si sa, non abbisognano di denominazioni per essere guardate e afferrate, ma, nel mio caso, l’attribuzione del titolo – che ha solo un significato affettivo e personale – rende completa la mia ‘opera-azione’.

Alberto Argenton (1990), Il tema e le sue variazioni, Anfione Zeto, 4-5, pp. 246-251